LE RAGIONI PER CUI L’EMENDAMENTO DOVREBBE ESSERE RITIRATO

RIFLESSIONI SU EMENDAMENTO N. 25.0.200 AL DDL 886/2018 (DECRETO FISCALE) ATTINENTE ALLA VIOLAZIONE DEL PREZZO MASSIMO DI CESSIONE DEGLI ALLOGGI EDIFICATI IN REGIME DI EDILIZIA CONVENZIONATA DI CUI ALL’ART. 35 DELLA L. 865/1971?

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Questa proposta di modifica legislativa contrasta con molti principi costituzionalmente garantiti:

In primis, si intromette all’interno di contenziosi giudiziari per condizionarne l’esito.

Al riguardo, si è recentissimamente espressa la Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 12 del 30.01.2018, ed ha stabilito che è vietato qualunque intervento legislativo diretto a determinare l’esito di una controversia. Più precisamente detta sentenza stabilisce che, in ossequio all’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, il potere legislativo non può interferire in funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario e vieta al Legislatore di ingerirsi nell’amministrazione della giustizia al fine precipuo di influenzare l’esito di una particolare controversia.

Nel caso di specie, la violazione consiste nella integrazione del comma 49-quater all’articolo 31 della Legge 448 del 1998, il quale stabilisce che “La stipula delle convenzioni di cui ai commi 49-bis e 49-ter preclude qualsivoglia pretesa economica dipendente da vincoli o dalla loro violazione, eccedente le indennità dovute ai sensi del comma 49-bis”.

Se l’emendamento di cui trattasi dovesse essere approvato, le richieste di ripetizione di indebito (ex art. 2033 del Codice civile) legittimamente avanzate da acquirenti ed affittuari di tale tipologia di alloggi, pendenti davanti ai Tribunali, sarebbero neutralizzate.

 In secundis, viola il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione.

Infatti con l’approvazione dell’emendamento sarebbe precluso l’accesso alla casa alle medesime condizioni per tutti gli aventi diritto. I primi assegnatari hanno infatti potuto godere i vantaggi ed agevolazioni concessi dalla legge n. 167/1962 e n. 865/1971 di cui i nuovi acquirenti non potranno beneficiare;

Inoltre, il principio di uguaglianza di fronte alla legge, sarebbe violato anche in ragione del fatto che altri soggetti (tra cui la Pubblica Amministrazione) continuano a godere, senza alcuna limitazione, dei diritti previsti nell’art. 2033 del Codice Civile.

Addirittura, il recupero di somme indebitamente corrisposte dalla P.A, ha carattere di doverosità e costituisce esercizio di un vero e proprio diritto soggettivo a carattere patrimoniale, non rinunciabile in quanto correlato al conseguimento di quelle finalità di pubblico interesse alle quali sono istituzionalmente destinate le somme indebitamente erogate (ex multis T.A.R. Campania sentenza n. 1774 del 1° aprile 2017).

Le situazioni di affidamento e buona fede dei percipienti rileverebbero ai soli fini delle modalità con cui il recupero deve essere effettuato, in modo cioè da non incidere in maniera eccessivamente onerosa sulle esigenze di vita di costoro (ex plurimis , Consiglio di Stato, III Sezione, sentenza 2903 del 2014)

Dal nostro punto di vista, non v’è nessuna ragione logica-giuridica per porre su un diverso piano di legittimità l’interesse (privato) degli acquirenti alloggi edificati sui Piani di Zona e l’interesse pubblico della Pubblica Amministrazione.

Ma v’è di più.

Nel caso di ripetizione di indebito derivante da canoni di locazione versati in eccedenza, si giungerebbe al paradosso che il locatore verrebbe a godere di un doppio vantaggio: da una parte godrebbe i benefici della affrancazione e nello stesso tempo inibirebbe l’azione dell’affittuario

 In tertiis, viola il principio di ragionevolezza delle leggi.

La ripetizione dell’indebito ricorre quando un soggetto paga un debito, ma tale pagamento non è dovuto; Quando è effettuato un pagamento non dovuto il debitore – secondo un principio che è logico, prima ancora di essere giuridico – ha il diritto di ripetere la prestazione effettuata (cioè di chiederne la restituzione), tramite un’azione che si chiama azione di ripetizione dell’indebito (detta anche condictio indebiti).

Questo tipo di tutela ha per obiettivo quella di ripristinare la situazione di fatto e di diritto in cui il patrimonio del soggetto si trovava prima di un certo avvenimento (nel caso di specie la data di acquisto dell’immobile).

Invece, la proposta di modifica inserito nell’emendamento in epigrafe, impedisce l’esercizio di questo diritto e, addirittura, stabilisce che “chiunque abbia interesse”, anche privo di titolarità del bene immobile, possa procedere all’affrancazione del vincolo del prezzo massimo di cessione.

In ipotesi di un acquirente non attratto dall’affrancazione (perché, ad esempio, non interessato a vendere o locare il proprio immobile a prezzo libero di mercato) ci si chiede (senza trovare una risposta) il motivo per cui non egli non dovrebbe essere legittimato a ripristinare la propria situazione economica così come previsto dal dettato costituzionale.

Al riguardo, la Corte Costituzionale, con la sentenza 24/05/1996, n. 166, ha evidenziato che “l’art. 2033 cod. civ. per sé stesso non è censurabile in riferimento ad alcun parametro costituzionale, essendo improntato al principio di giustizia che vieta l’arricchimento senza causa a detrimento altrui”.

Da ciò deriva anche la violazione del principio di legalità in base al quale tutti gli organi dello Stato sono tenuti ad agire secondo la legge. Tale principio ammette che il potere venga esercitato in modo discrezionale, ma non in modo arbitrario e discriminatorio.

 Risolverà il contenzioso che si è generato successivamente alla pubblicazione della sentenza della S.C. di Cassazione n.18135?

Nutriamo la fiducia che con serietà e ragionevolezza l’emendamento venga ritirato.

Comunque, ammesso in ipotesi che l’emendamento passi,  direi che il contenzioso tra acquirenti e venditori aumenteranno ed arriveranno ai più alti livelli della giustizia nazionale ed europea.

I contenziosi in potenza, dopo lettera di messa in mora per interrompere la prescrizione, attenderanno l’esito dei ricorsi davanti alla Corte Costituzionale ed (eventualmente) danti alla Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) e riprenderanno vigore alla fine degli stessi.

In conclusione vorrei sottolineare che l’emendamento non tiene conto della tempistica occorrente per arrivare alla stipula della convenzione di affrancazione che, a Roma, dura almeno due anni e mezzo.

Auspicando che l’Amministrazione di Roma Capitale consideri questa situazione sufficiente ad accedere alla procedura di urgenza (almeno un anno), cosa succedeà se il “Chiunque interessato” utilizzasse la possibilità di accedere al pagamento dilazionato di 10 anni: La causa si interrompe per tutto questo tempo? …. L’immobile rimane bloccato per lo stesso tempo?

Roma, 21 novembre 2018

Il Presidente

Giuseppe Di Piero

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