LETTERA APERTA AL “COMITATO VENDITORI 18135″

Il post pubblicato nella vostra pagina Fb, in data 26.06.2019, dal titolo “LA NOSTRA POSIZIONE SUI PIANI DI ZONA” lascia la sensazione di essere destinato a qualcuno che (forse) si è accorto di aver fatto un grosso errore a sostenere la posizione del “Comitato venditori 18135” al quale, va comunque dato atto di combattere una tenace battaglia per difendere gli interessi delle famiglie che hanno illecitamente rivenduto i propri alloggi a un prezzo libero di mercato (piuttosto di quello consentito dalla normativa afferente all’edilizia agevolata-convenzionata di cui all’art. 35 della L. 865/1971) e che oggi non hanno nessuna intenzione di procedere alla ripetizione (neppure parziale) della prestazione economica eseguita dall’acquirente.

A mente dell’Art. 2033 del Codice Civile, chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto alla restituzione di ciò che ha pagato in eccesso. Tale principio di civiltà giuridica (che ci proviene addirittura dal Diritto Romano), a parere vostro e dei vostri amici , nel caso che ci riguarda non deve applicarsi!
Un Senato sordo (a tutte le sollecitazioni di “Area 167” e del “Comitato degli acquirenti) e miope (di fronte alla future prospettive dell’Edilizia Residenziale Pubblica”, si è fatto “infinocchiare” ad arte da un ben orchestrata campagna mass-mediale.

Venditori e Notai (che sono i maggiori responsabili del CAOS oggi esistente sulla materia) , si sono inusitatamente trovati insieme a celebrare la venuta del cd. “Emendamento Grassi” che in gran parte ricalca il parere espresso dal Prof. Gino Scaccia (nella sua veste di consulente del Notariato e prima di essere nominato a capo della Segreteria del Ministro Toninelli al MIT)

Ripetete a iosa il mantra che la bontà del provvedimento del Sen. Grassi è dimostrato dal fatto che è stato votato da circa il 99% dei senatori. Dimenticate però di dire che senza la “fiducia” al pacchetto fiscale (di cui era entrato a far parte), avrebbe potuto prevalere la posizione dell’On.le Alaimo (componente Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati). Con il suo Ordine del Giorno n. 9/1408/30 (approvato come raccomandazione dalla Camera) , il Governo resta comunque impegnato ad : “adottare un successivo atto normativo, affinché la disposizione di cui all’articolo 25-undecies del decreto-legge in esame non si applichi agli immobili oggetti di contratti stipulati precedentemente alla sua entrata in vigore”.

Secondo le vostre dichiarazioni, la soluzione adottata dal legislatore è una soluzione di buon senso perché ha permesso di “far tornare l’immobile nello stato in cui sia il venditore che l’acquirente pensavano di averlo compravenduto” ed ha vanificato le richieste giudiziarie degli acquirenti. In realtà la questione attinente alla ripetizione dell’indebito si riferisce a tutt’altra fattispecie giuridica che non ha niente a che vedere con la ripetizione dell’indebito oppure con l’abuso di diritto.

Un illustrissimo giudice del Tribunale di Roma, durante un seguitissimo convegno, ha candidamente ammesso , come se fosse una cosa normale (sic!) l’ingerenza dello Stato per “sopire” il contenzioso tra acquirenti e venditori.

Il vostro cavallo di battaglia consiste nella denuncia della (possibile) cd. “speculazione inversa” secondo cui l’acquirente, dopo aver intascato l’indebito, potrebbe benissimo “affrancare il prezzo massimo di cessione del bene” (pagando pochi spiccioli) e realizzare una cospicua plusvalenza. In altre parole, per impedire una (eventuale) futura speculazione dell’acquirente, avete proposto la legalizzazione di un indebito arricchimento del venditore.

Ebbene, diversi acquirenti procedono alla ri-vendita del proprio alloggio a prezzo massimo di cessione, senza ricorrere all’istituto giuridico della “affrancazione del p.m.c.”. Tanto può essere confermato anche da un illustre esponente del vostro Comitato che (almeno fino a pochi giorni fa), sputava veleno contro il suo acquirente senza sapere che quest’ultimo, in pendenza della causa di ripetizione di indebito, aveva (rispettando la normativa) rivenduto l’alloggio a prezzo massimo di cessione.

Dopo essermi dilungato così tanto chiedo che, con onestà intellettuale, mi si dica se è normale che immobile assegnato dalla cooperativa, nel settembre 2012 ad euro 106.000 possa essere rivenduto dopo solo due mesi a 360.000 euro?
Sicuro di anticipare qualche vostra risposta, ribadisco che la stragrande maggioranza dei casi, non ha risentito del passaggio dalla lira all’euro.

Sinceramente stupito che la politica (finora) sia stata sensibile solo ai vostri piagnistei e ai vostri ringraziamenti (#GRAZIESENATORE, #GRAZIESOTTOSEGRETARIO), spero che nel proseguo sia più equilibrata faccia più attenzione a non vanificare la funzione sociale di questa tipologia di alloggi che, si ripete, è stata edificata su suoli espropriati per pubblica utilità ed hanno usufruito di numerosi benefit (riduzione oneri di urbanizzazione, esenzione pagamento costo di costruzione, finanziamenti pubblici, ecc.)

L’equa soluzione di questa questione deve necessariamente passare per un criterio di equità in base al quale l’unico a rimetterci non può essere l’acquirente che, dopo aver pagato il proprio alloggio il doppio di quello che legalmente valeva, si ritrova sulle spalle un mutuo ultraventennale che non avrebbe mai avuto bisogno di sottoscrivere (e che oggi non è nemmeno surrogabile.)

Si dovrebbe comprendere che senza, accettazione del principio che tutti i protagonisti di questa storia debbano rinunciare a qualche cosa, difficilmente il contenzioso si concluderà con la dichiarazione di improcedibilità/improseguibilità da parte del Tribunale di Roma.

Il Presidente
Sig. Giuseppe Di Piero

Questo contenuto é riservato ai soli iscritti. Se sei già registrato esegui l’accesso. I nuovi utenti possono registrarsi usando il form sottostante.

Existing Users Log In
 Ricordami  

Condividi questo articolo

This post is password protected. Enter the password to view any comments.